Brexit, e se l’accordo fosse un passo avanti per tutti gli altri?
Le trattative degli ultimi mesi hanno avuto il merito di indurre i negoziatori di Bruxelles a meglio precisare quali siano le regole irrinunciabili dell’Unione.
di Sergio Romano. Milano, 26 novembre 2018
Quando la Gran Bretagna divenne membro della Comunità economica europea, nel 1973, molti salutarono l’avvenimento come una conversione. Il Regno Unito sembrava avere compreso che il Commonwealth non sarebbe stato la versione moderna del suo vecchio Impero e che l’antica familiarità con gli Stati Uniti non avrebbe trasformato l’Alleanza Atlantica in un condominio anglo-americano. Chi nutriva queste speranze commetteva un errore. La Gran Bretagna aderiva alla Comunità perché il tentativo di creare un’altra unione economica (la European Free Trade Association) era fallito e perché il Mercato unico presentava vantaggi a cui era ormai difficile rinunciare. Ma non aveva cambiato la sua filosofia politica. Si considerava diversa dai suoi vicini d’oltre Manica e non intendeva rinunciare a quello che Winston Churchill aveva definito il «Gran Largo» delle sue ambizioni mondiali. Ma credeva che dall’interno della Ue avrebbe ottenuto trattamenti speciali per se stessa e rallentato il processo d’integrazione per gli altri. È quello che è accaduto. Le è stato permesso di rifiutare ciò che non le piaceva. Ha chiesto e ottenuto un allargamento dell’Unione, dopo la fine del blocco sovietico, che ha annacquato il buon vino dell’Europa federale. Ha usato il referendum del 23 giugno 2016 per strappare alla Commissione nuove concessioni e, se i suoi cittadini avessero detto sì, sarebbe rimasta nell’Unione con un numero crescente di privilegi. Dovremmo piangere la sua dipartita? Qualcuno teme che l’uscita dall’Unione di un Paese così storicamente importante possa favorire altri divorzi. Io spero piuttosto che l’uscita della Gran Bretagna, nelle confuse condizioni in cui sta avvenendo, elimini un ostacolo alla unificazione. Le trattative degli ultimi mesi hanno avuto il merito di indurre i negoziatori di Bruxelles a meglio precisare quali siano le regole irrinunciabili dell’Unione. Se qualche altro Paese, fra quelli ammessi nel 2004, desidera imitare il suo esempio, tanto meglio. E se vi sarà in Gran Bretagna un nuovo referendum, sarà opportuno precisare prima del voto a quali condizioni la Gran Bretagna può rientrare nell’Unione europea.
Macron e l’esercito europeo, la chance di correggere De Gaulle
Se Macron vuole davvero dare all’Europa uno scudo militare, il mezzo esiste ed è quello di invitare i Paesi maggiormente impegnati nella costruzione di un'Europa integrata a condividere le responsabilità della forza nucleare francese
di Sergio Romano. Milano, 17 novembre 2018
La Comunità europea di Difesa fu il grande sogno di Alcide De Gasperi. Nacque con un trattato firmato il 27 maggio 1952 da Belgio, Francia, Repubblica Federale di Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. E morì il 30 agosto 1954 all’Assemblea Nazionale francese quando un matrimonio contro natura fra gollisti e comunisti impedì la ratifica. Da allora la Ced riappare periodicamente sulla scena europea, suscita un po’ di interesse e scompare dopo un breve fuoco di paglia.
La sua ultima apparizione, anche se non è stata menzionata esplicitamente, risale a martedì 6 novembre quando il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, rispondendo all’intervistatore di un programma radiofonico, ha detto testualmente: «Siamo strattonati da tentativi d’intrusione nello spazio cibernetico e da parecchi interventi di estranei nella nostra vita democratica. Dobbiamo proteggerci guardando alla Cina, alla Russia e persino agli Stati Uniti d’America (…). Quando vedo il presidente Trump annunciare la sua intenzione di uscire da un grande accordo per il disarmo, stipulato dopo la crisi degli euromissili che aveva colpito l’Europa verso la metà degli anni Ottanta, mi chiedo quale sia la vittima principale se non l’Europa e la sua sicurezza?».
Sappiamo che il presidente degli Stati Uniti, indispettito, ha risposto con un tweet in cui dichiara che la Francia, anziché parlare di esercito europeo, dovrebbe piuttosto aumentare il suo contributo al bilancio della Nato. Ma l'organizzazione militare del Patto Atlantico, soprattutto all’epoca di Trump, non sembra essere in grado di dare una risposta convincente al problema della sicurezza europea. È stata usata dagli americani per guerre che si sono dimostrate sbagliate e ha avuto l’effetto, dopo la sua estensione al di là della vecchia cortina di ferro, di peggiorare i nostri rapporti con la Russia. Se Macron vuole davvero dare all’Europa uno scudo militare, il mezzo esiste ed è quello di invitare i Paesi maggiormente impegnati nella costruzione di un'Europa integrata a condividere le responsabilità della forza nucleare francese («force de frappe»).
Se vorrà essere documentato su un tale progetto, i suoi collaboratori potranno ritrovare negli archivi francesi le carte relative agli incontri che ebbero luogo nel 1956 fra tre ministri della Difesa: Jacques Chaban-Delmas per la Francia, Franz Josef Strauss per la Repubblica Federale di Germania e Paolo Emilio Taviani per l’Italia. Erano i primi passi di un progetto per la costruzione di una bomba atomica europea. Vi fu anche un accordo segreto firmato il 28 novembre 1957, ma il progetto fu accantonato quando il generale De Gaulle, tornato al potere nel maggio 1958, decise che la bomba sarebbe stata esclusivamente francese. Se ha davvero l’intenzione di tenere a battesimo un esercito europeo, la Francia di Macron potrebbe fare ora ciò che De Gaulle non le permise di fare allora.
o Macron sait bien que la France est la seule a posseder l arme nucleaire, ainsi donc ns devrions en toute logique diriger l europe de la defence dont Macron serait le chef Je doute que les autres membres n acceptent une defence francaise.